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Apparecchi per il gioco lecito: le esposizioni bancarie-finanziarie del comparto sono una questione industriale

8 Marzo 2017

La politica di un tempo divideva le “questioni” in 3 categorie: quelle politiche, quelle sociali, quelle industriali. Ovviamente ve se erano altre, ma lo spessore degli attori si misurava sul contributo che si apportava su quelle 3 grandi questioni che facevano la differenza.

Sul gioco lecito, queste questioni esistono, anche se si fa finta di non vederle: Centomila addetti diretti e altrettanti coinvolti nell’indotto, fiscalità rilevante, ma soprattutto un “movimento” di investimenti di settore da oltre mezzo miliardo l’anno, rappresentano questioni e non solo dati, verso le quali l’approccio semplicistico, sin qui seguito, non conduce a niente di buono.

Oggi il focus si accentrerà sul rapporto che caratterizza gli operatori dediti prevalentemente agli apparecchi da gioco lecito e il circuito bancario-finanziario-assicurativo.

Una “questione” che coinvolge gli istituti di credito per c.a. un miliardo, e per circa altrettanto gli altri attori finanziari (ma che poi si riverserebbero sempre sul circuito bancario).

Conteggi troppo “spannometrici” ? forse, ma se si considera il “volume di prestiti-affidamenti” che sono stati allestiti

  • per supportare due sostituzioni di parco awp in 3 anni (prima il 74%, poi il 70%);

  • per supportare un extra-gettito erariale “strutturale” passato da 500 milioni della legge n. 190/2014, a 1,4 miliardi del 2016;

  • per supportare le limitazioni orarie/metriche di operatività introdotte nei Comuni,

spannometrico” diventa sinonimo di “estremamente prudenziale”.

La tenuta delle banche è diventata una “questione”, da quando si è introdotto il singolare approccio di coprire le sofferenze con denari pubblici, e ciò impone di considerare i progetti di “riforma” (che si affacciano come proposta di riordino “sugli apparecchi da gioco”), anche alla luce delle sofferenze che potrebbero riversarsi sul circuito creditizio.

Razionalizzazione – Riduzione – Concentrazione dei punti di gioco, sono concetti che l’industria del settore ha già lavorato al proprio interno, trovando una soluzione che consenta di evitare la trasformazione delle esposizioni in sofferenze. Non lo ha fatto con gli slogan, ma con una tabella econometrica che rappresenta sia il punto di “rottura” di un sistema a doppia rete distributiva (dedicata e generalista), sia il “punto di equilibrio del sistema” stesso.

La proposta industriale è differente (non importa se di poco o di tanto) da quella sino ad oggi formalizzata dal Governo. Quindi è doveroso invocare la pianificazione anche della questione industriale rappresentata dai due miliardi di esposizioni che (anche solo spostando di poco il punto di equilibrio), diventano sofferenze in presenza di una interruzione (totale o quasi) di attività delle aziende coinvolte.

La presente nota attiene esclusivamente al movimento dei gestori di apparecchi da gioco lecito, ovvero quelle imprese che – secondo le innovative nomenclature del codice degli appalti – sono a tutti gli effetti dei “subappaltatori ad elevata incidenza di forza lavoro nella propria attività”.

Per queste imprese l’errato posizionamento del “punto di equilibrio” di una riforma significa non poter più onorare il rientro delle esposizioni debitorie.

Ciò che AS.TRO invoca, pertanto, esattamente come ha fatto recentemente per altre situazioni che necessitavano di una pianificazione delle situazioni di crisi, è l’elevazione delle proposte e dei dibattiti, dagli slogan alla presa in carico delle “questioni”.

Perseguire (o meno) un cambiamento industriale deve sempre essere un atto di assunzione di responsabilità sugli effetti generati, e non solo un esercizio dialettico o di mediazione, e tutti gli attori coinvolti da compiti istituzionali e di rappresentanza, non possono esimersi dall’affrontare le questioni, e dal rappresentarne la linea gestionale che si intende adottare.

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