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Attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate sui gestori: un insegnamento per il “variopinto” mondo delle slot

4 Settembre 2012

Come noto, l’attività di accertamento che le Agenzie delle Entrate di tutte le Province stanno ponendo in essere nei confronti delle aziende di gestione nasce da un preciso antefatto storico. Concessionari di rete e Amministrazione hanno rappresentato una situazione di dati e di flussi, illustrando all’Istituzione deputata alla verifica tributaria uno schema “semplificato” che potesse generalizzare il concetto economico di spartizione dei ricavi che avviene nel mercato di riferimento.

Nessuno, ovviamente, poteva fornire analitica contezza dell’assoluta eterogeneità che caratterizza questo settore, in cui, spesso, l’animus pugnandi della concorrenza di prossimità arriva a concepire il lavoro in perdita o la rinuncia agli aggi pur di acquisire o conservare postazioni di gioco. L’eccessiva diversità, quindi, ha imposto verifiche “individuali”, e queste non possono che essere condotte secondo un “metro di valutazione” rispecchiante le diversità oggettive e soggettive di ogni Ufficio dell’Agenzia delle Entrate.

Senza entrare nel merito di quello che accade oggi, quindi, la domanda che una Associazione di categoria si pone è la seguente: come evitare tali ambiguità per il futuro garantendo altresì al mercato uniformità di condizioni su tutto il territorio nazionale.

La risposta è semplice ed è già contenuta in proposte formulate da AS.TRO, ovvero il contratto telematico unico e nazionale tra concessionario – gestore – esercente, con introduzione anche della fatturazione telematica e degli aggi predeterminati per legge, con qualche ovvio “temperamento” della rigidità del sistema per rispettare la “forma” della concorrenza imprenditoriale, la quale, comunque, nell’ambito di attività esercitate sotto concessione, è giusto che non sia più illimitata come oggi.

Oggi si paga il prezzo dell’eccessiva e irrazionale libertà di agire, si paga il prezzo di un mercato che è blindato e militarizzato nella forma ma anarchico nella sostanza, dove agli esercenti che risolvono i rapporti si concede di mettere per strada le slot che non si vogliono più, e ai gestori si permette di esercitare una azione di fidelizzazione commerciale dei punti senza un inquadramento normativo preciso.

Oggi il “grande” mondo del gioco pubblico (virgolette ironiche ovviamente) è asservito a logiche miope e anti-economiche, in cui chi fa investimenti guadagna poco e chi ha un bar che non vivrebbe mai di soli caffè si gode lo spettacolo della “fila” degli operatori con l’offerta migliore, e poco importa se si tratta di proposte di “prodotti plurimi di gioco a pacchetto”, o mere strategie di fidelizzazioni.

Oggi si scopre che l’inventiva costa cara, perché il rischio di un disconoscimento di costi o del recupero a tassazione di aggi regalati è attuale e concreto.

Nell’anarchia ci rimette “il piccolo, il debole, il prudente, il bravo”, mentre nell’ordine di rimette colui che vuole sovvertire il risultato industriale dettato dalle proprie capacità imprenditoriali specifiche sfruttando altre sue doti. Oggi è giunto il momento di chiedere che un mercato su base concessoria abbia nella sua concreto esercizio la medesima rigidità della sua forma. Solo “cambiando tutto”, si può ottenere un parziale risultato di “non cambiare nulla”, ovvero annullare le normative locali di restrizione al gioco pubblico, creando la licenza unica per il gioco pubblico di esclusiva pertinenza dell’Amministrazione Finanziaria rilasciata su presupposti precisi “condivisi” (almeno a livello di consultazione) con gli Enti Locali.

Solo così sarà chiaro che il gioco pubblico è quell’attività che può anche essere svolta anche 50 metri da una chiesa o da una scuola, in cui tanto il punto, quanto il gestore – operatore di prossimità, quanto il concessionario, hanno un aggio determinato nel minimo e nel massimo, che deve garantire una certa resa erariale tanto al comune quanto allo Stato. Al di fuori di questa rivoluzione c’è l’attuale situazione, in cui si riesce persino ad ottenere che nel gioco di sorte a percentuali di vincita predeterminate, il “banco” ci rimetta o non sia in grado di produrre quella ricchezza che il “gioco” deve realizzare. Di tali “miracoli” non se sente più l’esigenza, e si dovrebbe anche comprendere la loro incompatibilità tributaria e fiscale.

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