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Aumento del Preu tra possibili verità e verosimili timori

16 Giugno 2010

Agli Italiani è stata rappresentata l’esigenza – da parte delle Casse dello Stato – di ri – allineare alcuni parametri attinenti la Spesa Pubblica, e NON la generica necessità di reperire risorse per far fronte a bisogni di ulteriore liquidità dei flussi erariali.
La differenza non è di poco conto, in quanto se è vero che i 24-25 miliardi di euro che lo Stato deve “non spendere” attengono ad un tetto “algebrico” di spesa pubblica che va abbassato (e sul merito specifico dei tagli ogni opinione è lecita), allora ciò legittima l’impostazione Governativa di operare (fatte salve le riserve di metodo e di scelta che verosimilmente tutti possono concepire) sui costi della P.A.
Se, invece, esiste un “buco di bilancio” ovvero la necessità di reperire nuove risorse per coprire previsioni di spesa (che benché tagliate si dovessero rivelare) “non sorrette” da equivalenti prospettive di entrata, allora la questione cambierebbe, e di molto.

In questo contesto si inseriscono sia i “rumors” relativi ad un adeguamento verso l’alto del PREU (idoneo a uccidere il sistema gioco lecito, ma a “raggranellare” si e no 100-150 milioni di euro), sia le valutazioni attinenti la “veridicità” dei proclami governativi, quantomeno di quelli relativi al non aumento delle “pressioni tributarie in senso strettamente tecnico”.

Confindustria ha approvato la manovra solo nella misura in cui lo Stato si prefigge di costare di meno e quindi di incidere di meno, “con le sue esigenze” dal fondo che tasse e tributi riempiono.
Oggi che il gioco è una industria, e che può vantare tre elementi di virtuosa distinzione rispetto alla totalità del contesto economico del Paese, si ritiene inammissibile ogni valutazione attinente l’innalzamento di qualsiasi tributo, in quanto incidente sulla realtà produttiva dichiarata come esentata (almeno in questa manovra), da oneri di contribuzione.
Gli elementi distintivi della nostra industria, poi, rendono oltremodo inconcepibile un discorso sul PREU: il gioco non è costato neppure un euro di Cassa integrazione, ha mantenuto il suo livello occupazionale, ha raggiunto gli obiettivi di raccolta richiesti, arrivando a costituire la insostituibile fonte di finanziamento (tra l’altro) delle missioni miliari all’Estero del nostro Esercito (ad oggi necessitanti di oltre 1 miliardo di euro).

Al Governo deve quindi essere chiaro che qualsiasi “apertura” sul fronte del prelievo erariale sul GIOCO, finalizzata a compiacere il “movimento trasversale” che non riconosce all’industria del GIOCO LECITO dignità imprenditoriale, sarà considerata come espressione di disimpegno nei confronti dei destinatari “delle maggiori entrate del settore del gioco”.
I “nostri” tre miliardi di euro di previsione di entrata sono già “appesi a un labile filo, che solo il senso di responsabilità del settore sta mantenendo in essere.
A coloro che sono in grado di leggere i dati pubblicati nelle tre schede che hanno preceduto questo intervento sulle nostre pagine web, non sarà sfuggito l’assunto che denuncia la tensione caratterizzante il complesso sistema della filiera AWP, costretta a spartirsi un volume di affari che, percentualmente spetterebbe, di contro, a ciascun singolo attore del mercato.
Ci si augura, pertanto, che i tecnici Governativi sappiano decifrare la situazione comprendendo le ripercussioni connesse alla non auspicata degradazione dell’industria del GIOCO a entità imprenditoriale di “seconda fascia”.
E’facile rilevare, infatti, che se si persevera nel negare ad una industria il diritto ad essere considerata come tutte le altre imprese, allora non ci si potrà più lamentare delle ripercussioni derivanti da tale scelta.
In “ballo” ci sono 270 milioni di euro al mese e non è stata l’industria del GIOCO a scegliersi le destinazioni di scopo del PREU.

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