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Cresce la raccolta delle Awp (a maggio +91 milioni rispetto ad aprile): new slot al 53,2% dell’intero comparto pubblico di gioco

18 Giugno 2010

Secondo l’opinione di alcuni operatori, il settore dovrebbe far passare sotto silenzio i propri numeri, e benché non si comprenda come si possano “oscurare” dati ed elaborazioni di dati accessibili a tutti in quanto pubblicati e ampiamente divulgati direttamente dalle ufficiali fonti istituzionali (italiane e non Coreane), riteniamo comunque doveroso prendere le distanze da questo orientamento.
Qualcuno pensa, infatti, che la lettura dei dati della raccolta, unitamente alla considerazione che ad una percentuale di essa corrisponda anche il volume di affari delle imprese di gestione, possa ingenerare una errata convinzione di “ricchezza” del comparto, e provocare l’innalzamento del PREU (accadimento, peraltro, sconsigliato dalla Direzione Generale dei Monopoli di Stato e dalla medesima – semmai – proposto di ri-equilibrio verso il basso, conformemente alle considerazioni delle rappresentanze di categoria).
Certamente a pensar male si ha la probabilità di aver ragione, e pertanto, si cercherà di fornire anche ai timorosi della “luce del sole” alcuni concetti che possano renderli consapevoli del fatto che il settore sta (anche) imparando a comunicare, trasmettendo un messaggio volto a smentire l’equazione aumento della raccolta = aumento dei ricavi, ovvero, “più in soldoni” volto a spiegare al pubblico che:
–    tra raccolta e spesa di gioco passa una differenza notevole,
–    tra raccolta e “ricchezza delle imprese” passa una differenza ancora maggiore.
La conclusione di tale riflessione è semplice: una industria non può nascondersi, non può barare sui dati (soprattutto quando li genera ma non ne controlla il flusso), non può mentire sulla loro rilevanza e sul loro significato; tuttavia può e deve farsi carico di “far capire” il distacco che caratterizza l’innalzamento di un parametro (ad esempio la raccolta) e la perdurante stagnazione di un altro (ad esempio l’utile di impresa per l’azienda di gestione), e veicolare verosimili e accettabili ragioni tecniche ed economiche a sostegno delle proprie tesi (non potendosi certo pretendere di far capire al pubblico come certe “dinamiche” concorrenziali si “mangino” spesso i ricavi di gestione).
Tutto ciò si chiama maturità di settore e, se non è troppo velleitario, anche “amor proprio”, ovvero quel sentimento che dovrebbe comportare una intelligente revisione dei processi aziendali sino a renderli “conformi” a quella realtà che i numeri farebbero supporre.

Quanto all’incidenza del più “noto” fattore di perdita (i furti), è auspicabile che la base degli operatori fornisca un indirizzo univoco alle rispettive dirigenze associative, volto a chiarire se ci debba muovere sul piano della innovazione tecnologica o sul piano degli strumenti di difesa e vigilanza finalizzate al contrasto delle aggressioni al patrimoni. Entrambi richiedono investimenti e sarebbe quindi opportuno che la categoria risolvesse al suo interno la valutazione di costi e benefici derivanti dai diversi orientamenti. Le associazioni possono proporre idee e aiutare nelle valutazioni di singoli profili, ma non potranno mai operare in regime di “supplenza” rispetto alle decisioni imprenditoriali.

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