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Deducibilità perdite su crediti

16 Maggio 2019

Con l’ordinanza n. 9784 dell’8 aprile 2019, la Corte di cassazione ha ricalcato l’orientamento, ormai consolidato in sede di legittimità, che chiarisce quale siano i requisiti e i criteri di natura probatoria ai fini della deducibilità delle perdite sui crediti, secondo quanto stabilito dalla previsione del comma 5 dell’articolo 101, Dpr 917/1986: i costi deducibili dal reddito di impresa devono soddisfare i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.
Più in particolare, il credito, della cui perdita si può chiedere la deduzione nel periodo di imputazione in bilancio quale componente negativa del reddito di impresa, deve essere inerente l’attività di quest’ultima, coerentemente al suo oggetto sociale. Inoltre, deve esservi già stata una imposizione sulla componente reddituale attiva da ricavo, che solo successivamente non è stato possibile incassare per un fatto non imputabile al creditore e che è riconducibile, invece, a una situazione di inesigibilità per inadempienza del debitore.
La deducibilità è, quindi, ancorata a criteri di precisione e certezza, il cui onere probatorio incombe necessariamente, in via ordinaria, in capo al contribuente creditore che intende avvalersene: la prova della certezza afferisce sia l’an della perdita derivante dall’inesigibilità del credito sia il quantum, vale a dire la sua entità.
Il disposto normativo, infatti, pone una deroga a tale regola ogni qual volta il debitore sia coinvolto in procedure concorsuali o in un accordo di ristrutturazione et similia. Secondo la previsione normativa del comma 5 dell’articolo 101, “il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi o, per le procedure estere equivalenti, dalla data di ammissione ovvero, per i predetti piani attestati, dalla data di iscrizione nel registro delle imprese”.
In queste ipotesi opera, dunque, una presunzione legale che esonera automaticamente il creditore dal dover dimostrare di aver subito in via definitiva una perdita inerente la sua attività di impresa. La ratio di favore di tale previsione prevista per il contribuente è da ricercarsi nel fatto che l’accertamento dei requisiti previsti viene rilasciata ex lege in via sostitutiva da un soggetto terzo, indipendente e imparziale, nell’ambito di una procedura giudiziale o amministrativa che presuppone o lo stato di insolvenza o quello di crisi. In altre parole, in presenza di una procedura concorsuale et similia ricorre una presunzione di inesigibilità conclamata, la cui entità è stata oggetto di controllo da parte degli organi a tal uopo preposti ex lege.
In assenza di tali procedure, gli stringenti requisiti della certezza e della precisione richiesti ai fini della deducibilità delle perdite su crediti devono basarsi su di una pluralità di elementi, da valutarsi caso per caso, che siano idonei e abbiano i caratteri della sufficienza nell’assolvimento dell’onere probatorio da parte del contribuente. A titolo esemplificativo, in base a una ricognizione della giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché della prassi dell’Amministrazione finanziaria, è possibile elencare le seguenti ipotesi:
– il costo deve essere inerente l’attività di impresa e può anche essere potenziale, nel senso che da esso potrebbero derivare i ricavi o i proventi che concorreranno a formare il reddito di impresa
– affinché una spesa possa ritenersi inerente, non è sufficiente che sia stata correttamente inserita nella contabilità aziendale, con la annessa documentazione di supporto, essendo necessario ricavare anche la ragione strumentale della stessa
– è necessario dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività di impresa, sia rispetto al criterio di proporzionalità con i ricavi o con l’oggetto dell’impresa sia con riferimento ai dati esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni
– una perdita deducibile è configurabile solo se il prezzo di cessione è inferiore al valore attualizzato dei crediti ceduti e cioè al valore dei crediti ceduti calcolato al netto degli interessi impliciti non ancora maturati al momento della cessione”
– non sono deducibili “le perdite su crediti ceduti sottocosto, tanto da potersi ritenere trasferiti con atto di liberalità, senza il rispetto delle forme legislativamente previste perché si potessero ritenere abbandonati e non recuperabili”
– si delinea una perdita su crediti “quando il debitore non paga volontariamente e il credito non risulta attuabile coattivamente attraverso gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione del creditore”: sarà necessario fornire la relativa documentazione attestante le azioni esecutive intraprese con esito infruttuoso
– “se il creditore resta inerte nella titolarità del suo credito esiste un credito inattuato per volontà del creditore ma non esistono elementi certi per configurare una perdita fiscalmente rilevante”
– non ha rilievo alcuno la circostanza che la cessione del credito sia o meno riconducibile a una razionale scelta imprenditoriale, essendo determinante e rilevante l’effettiva riduzione del valore reale del credito
– “il corrispettivo per la cessione del credito non ha alcun rilievo ove non si dimostri che esso corrispondeva ad una effettiva riduzione di valore reale del credito stesso, riduzione che non può essere giustificata e non può dirsi verosimile se non con una riduzione della garanzia patrimoniale generale offerta dalla società debitrice in misura tale da rendere impossibile, ridurre od ostacolare la recuperabilità coattiva del credito”
– la definitività della situazione di insolvenza del debitore deve essere tale da escludere il futuro soddisfacimento del credito, la qual cosa può essere desunta pacificamente dalla “presenza di un decreto accertante lo stato di fuga, di latitanza o di irreperibilità del debitore, ovvero in caso di denuncia di furto d’identità da parte del debitore ex articolo 494 del codice penale o nell’ipotesi di persistente assenza del debitore ai sensi dell’articolo 49 del codice civile” (cfr circolare 26/2013).
Con riferimento ai crediti da riscuotere di esigua entità, prima della novella introdotta dall’articolo 33 del decreto legge 83/2012, era onere del contribuente dimostrare la deducibilità, quale componente negativa del reddito d’impresa, con elementi certi, precisi e concreti, e non meramente astratti, alla luce del fatto che la parvità dell’importo non configurava ex se la prova.
Nell’attuale previsione normativa, “gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso”: la modesta entità del credito va differenziata, tra l’altro, a seconda che superi i 5mila euro, per le imprese di più rilevante dimensione, e i 2.500 euro, per le altre.
In sede processuale, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio, al contribuente viene riconosciuta la possibilità di offrire qualsivoglia mezzo idoneo contemplato dal Dlgs 546/1992 e tale valutazione può essere demandata solo al sindacato del giudice di merito essendo preclusa alla Corte di cassazione qualsivoglia valutazione sull’accertamento dei fatti.
Fonte: Fisco Oggi

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