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G.A.P. : la differenza tra affrontare un problema e cercare di risolverlo

30 Agosto 2012

Alla luce dei report di stampa sul recente convegno di Lucca dedicato al gioco d’azzardo e delle continue dichiarazioni del ministro della salute (cui seguono quelle dei sostenitori della relativa iniziativa legislativa), pare evidente un dato.

Tutti vogliono “affrontare” il problema, nessuno vuole risolverlo. Tutti vogliono tutelare l’essere umano dai rischi che si corrono se il prodotto gioco viene fruito irresponsabilmente, nessuno vuole mettere la collettività in condizione di fruirlo in modo responsabile e sicuro. Tutti ritengono il gioco in sé una piaga e una anomalia etica per uno Stato che promuove la mission della guida spirituale e morale del cittadino, nessuno pensa come asservire un prodotto dello Stato, e di cui lo Stato beneficia in ragione del quadruplo dei relativi attori economici, a finalità (laiche) di virtuosismo sociale e civile, oltre che erariali.

Il “baco” è quindi culturale oltre che politico. Il gioco non è una sostanza a contenuto nocivo intrinseco ma lo si tratta alla stessa stregua di un agente inquinante, peraltro non connesso ad una attività fondamentale della civica modernità, quindi è intrinsecamente “eliminabile”.

Tuttavia, non potendolo eliminare senza una iniziativa legislativa condotta con legittimazione popolare (alias governo non tecnico), si finge che sia un fattore tossico che la società debba sorbirsi, e di cui le Istituzioni debbano preoccuparsi solo di “arginarlo” e di “curarne” le relative ferite inferte.

Ecco quindi che il G.A.P. si può solo “affrontare”, come lo smog, ma non risolvere, garantendo al sottobosco delle competenze non accasate professionalmente, lavoro, convegni, consulenze, passaggi televisivi, proselitismo etico su determinate impostazioni morali, visibilità mediatica fondata sulle menzogne giornalistiche (l’ultima è quella pubblicata su LA STAMPA di Torino due giorni fa in cui si ripete l’inganno del volume di gioco equiparato alla spesa dei giocatori).

Al pari dello smog, che aumenta nonostante le targhe alterne e che continuerà ad essere affrontato con le targhe alterne, il G.A.P. si affronta umiliando l’industria lecita e facendo finta di non sapere che chi non trova la slot legale nel suo bar di prossimità, riverserà su prodotti non autorizzati la sua domanda.

A differenza dello smog, invece, il gioco controllato non è causa diretta di alcuna malattia e risolvere il G.A.P. altro non richiede se non la “messa a sistema” di una serie di realtà imprenditoriali, di volontariato e istituzionali nell’ambito di un programma interdisciplinare ragionato, empiricamente verificabile e costantemente affinabile alla luce dei risultati che ottiene.

Le industrie che non lavorano sotto concessione non accettano questi “giochetti” e reagiscono: non ci volete ? allora chiudiamo e apriamo in un altro Stato.

I dati rivelano che tra accorpamenti di realtà industriali italiane in strutture estere, de-localizzazioni, trasferimenti e dismissioni di linee produttive, l’industria italiana privata che non lavora sotto concessione o pubblica autorizzazione sta scomparendo.

Se si esclude qualche capo di abbigliamento, un po’ di cemento, e gli ombrelloni sulle spiagge, l’Italia sembra destinata a ospitare solo energia e finanza, e un po’ di gioco lecito (quel che resterà in piedi se resterà in piedi).

I benpensanti e i sociologi “di grido” otterranno, forse, il gioco non-vietato ri-ghettizzato nei Casinò dall’eterno fascino anni trenta, ma chissà che soluzione troveranno per i milioni di posti di lavoro perduti, e per la riviviscenza della criminalità connessa al gioco illegale, non controllabile e non tassabile.

Con questo trend il Gioco Lecito si candida a perdere 100.000 unità lavorative direttamente impiegate e ad azzerare l’indotto necessario al mantenimento di altrettante maestranze.

Il nostro contributo, come si vede, lo diamo sempre.

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