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Gioco patologico ed esperienze internazionali

10 Settembre 2012

In queste ore di attesa, dedicate alla conoscenza del testo che assumerà il c.d. decreto sanità, sul quale è doveroso non abbassare l’attenzione e la sensibilità politica e industriale, pare doveroso concentrarsi sulle soluzioni che in altri Paesi sono state adottate, senza che ciò provocasse, nelle rispettive comunità, il frastuono a cui si è assistito negli ultimi giorni, in Italia.

La biblioteca della Camera dei Deputati, infatti, conserva un interessante appunto (il numero 6 del 2012, risalente allo scorso marzo), in cui analizza l’approccio normativo di Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, mentre gli ordinari strumenti di ricerca storico-giornalistica potranno confermare l’assenza di litigiosità che ha caratterizzato le legislazioni sul tema nel resto dell’Europa.

Al fine di non rendere eccessivamente enciclopedico l’approccio e il contenuto di questa breve informativa, si darà evidenza ai fattori più interessanti che connotano queste esperienze:

  1. Data dei provvedimenti.

Si va dal più “antico” gambling act del 2005, ai provvedimenti del 2008 adottati in Germania, a quelli del 2011 adottati in Spagna e del 2010 adottati in Francia. Trattasi di legislazioni relativamente giovani se non giovanissime, tutte sorte sulla scia dell’evoluzione tecnologica che ha reso possibile il gioco on line su larga scala, e tutte incentrate su tre principi fondamentali:

  1. Lo Stato centrale (ovvero quello Federale per quanto riguarda la Germania) è detentore del monopolio pubblico del gioco, unica entità abilitata a disciplinare il gioco lecito ed autorizzato. Nessuna “municipalità” o altra realtà locale ha potere normativo al riguardo.

  2. Una parte dei proventi erariali del gioco finanzia direttamente i programmi sanitari di cura e prevenzione dei giocatori problematici, disciplinati secondo disposizioni tecniche statali.

  3. Il cittadino “problematico” ha accesso gratuito ad una prima fase di cura così come può essere destinatario di un provvedimento dell’Autorità a mezzo della quale “interdigli” la frequentazione e la partecipazione al gioco.

  • Censimento del problema.

La Francia, nel 2011, ha stimato nello 0.4% della Popolazione il target di possibili giocatori a rischio G.A.P., mentre la Germania tiene monitorato il numero dei giocatori problematici attraverso la Cassa Mutua, cui compete anche l’eventuale sostegno economico delle famiglie in stato di bisogno. Il Regno Unito, invece, ha adottato un approccio diverso, a seguito di una indagine del 2008 in cui si evidenziava la necessità di intervenire con nuove risorse per sostenere programmi sanitari e sociali mirati: attraverso la concertazione con gli operatori privati ha fissato degli obiettivi di “abbattimento” del problema, convincendoli ad allestire direttamente, e a spese in gran parte proprie, le forme più idonee per tale risultato, indicando solo alcune linee guida istituzionali. Il privato, quindi, ha assunto come “proprio target”, l’allontanamento del giocatore problematico dal proprio circuito distributivo, godendo di ampia libertà di azione nell’ambito della selezione della propria clientela. In Spagna si è puntato sull’intervento pubblico sul fronte dell’interdizione al gioco dei soggetti ritenuti a rischio, instaurando nel maggio 2011 una apposita procedura di classificazione / schedatura attivabile su base volontaria, su segnalazione, su denuncia, su intervento diretto della magistratura.

  1. La tipologia di intervento riflette sempre la connotazione socio-culturale e l’organizzazione amministrativa del comparto sanitario del Paese. Nel Regno Unito il controllore è la Commissione sul gambling e sulle lotterie, la quale verifica se l’industria privata rispetta le linee guida e i risultati prefissati, mentre in Germania il centro federale per l’educazione alla salute inquadra il fenomeno nell’ambito nel complesso sistema pubblico della cura psichiatrica, notoriamente efficiente e sempre affinato da innovative tecniche terapeutiche. Anche in Spagna il fenomeno è relegato al contesto sanitario, benché integrato da un coordinamento di associazioni di volontariato presenti e radicati sul territorio.

In Francia, le dipendenze e le addiction (tutte, dalle tossicodipendenze ai meri disturbi comportamentali) sono affrontate sulla base di tre livelli, che vanno dalla accoglienza di prossimità ambulatoriale (una sorta di “check in” di primo impatto), alla struttura di cura specialistica presente in numero di una per ogni mezzo milione di abitanti, ai Centri Universitari regionali, cui pervengono i casi necessitanti ricoveri più protratti nel tempo.

  1. Nessun provvedimento reca come causale o come presupposto l’esistenza di una emergenza sanitaria attinente il G.A.P., ma tutti recepiscono l’opportunità di dare risposta globale all’esigenza di cura delle dipendenze.

  2. Nessun provvedimento di natura sanitaria ha avuto incidenza nell’ambito delle politiche industriali sul gioco autorizzato.

Non è facile cogliere in tali esperienze una ricetta valida per l’Italia, ovvero Paese in cui il G.A.P. è fenomeno che ha evidenza statistica con “forbice di errore” di circa un milione di persone (da 100.000 a 1 milione è infatti l’unico e inaffidabile dato aggiornato), e nel quale è sempre complicato proporre rigore e assunzione di responsabilità ai cittadini, alle imprese alle Istituzioni sanitarie.

AS.TRO si limita a ricordare che in Italia il gioco ha una sua storia ben determinata, che ha già “bruciato” due livelli di sviluppo: quello dei videopoker anarchici aboliti nel 2003, quello del gioco lecito attuale, in cui conflitti e animosità rendono antagonistiche anche le posizioni istituzionali che registrano scopi convergenti. La necessità di passare ad un terzo livello di sviluppo, dovrebbe quindi essere accettata universalmente, come generalizzato dovrebbe essere il riconoscimento di meritevolezza per una industria che per mestiere lotta contro quel competitor che non paga le tasse, non si sottopone a regole e controlli, sottraendosi ad ogni policy di tutela dell’utenza.

I Paesi Europei citati non sono necessariamente più bravi di noi, ma sicuramente hanno imboccato strade di “razionalità”, concertando con il settore industriale programmi destinati ad essere cambiati se non funzionano, e che non sono il frutto di battaglie ideologiche, ma mere attuazioni del buon senso. Nessun altro Stato Europeo pensa di imporre stili di vita ai liberi cittadini, ai quali, tuttavia, si impartiscono regole e ammonimenti, rendendoli responsabili per le rispettive azioni.

In Italia, purtroppo, la paura di “come” utilizzare le risorse pubbliche e di “come” coinvolgere i privati in progetti istituzionali penalizza le grandi virtù e le numerose intelligenze del Paese. Nel gioco lecito c’è bisogno di un terzo livello, e l’occasione del decreto attualmente in fase di ultimazione deve essere concepita come consesso politico per verificare i presupposti di un nuovo modello di sviluppo.

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