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Investire senza liquidità: l’irrisolvibile dilemma dell’industria italiana

11 Ottobre 2012

(a cura di Avv. Massimiliano Pucci, Presidente AS.TRO)

L’industria italiana è chiamata ad investire nell’innovazione per rendersi competitiva e quindi continuare a produrre ricchezza ed entrate erariali, oltre al mantenimento delle maestranze. Nel Paese manca liquidità, oramai custodita “solo” negli istituti di credito e tenuta sotto chiave a disposizione del “solo” dato numerico – finanziario della capitalizzazione. Ciò che serve al Paese, in pratica, è “congelato” dalle Banche per dimostrare ai rispettivi Organismi di controllo, ma soprattutto ai mercati finanziari, di aver ri-capitalizzato ciò che si era imprudentemente perso in passato.

Il dilemma pare quindi irrisolvibile, posto che “crisi” significa meno lavoro e meno entrate, e quindi aumento delle imposte da cui deriva ulteriore recessione e ulteriore calo dell’industria.

A parte lo sgomento di qualche “giovane” analista, nel constatare la irrisoria forza finanziaria che occorrerebbe per trasformare il “bel Paese” del sole, dell’arte, e della cucina nella prima potenza mondiale del turismo in grado di generare una domanda planetaria di “italianità”, la nostra industria pare rassegnata all’agonia.

Il gioco lecito non si sottrae a questo processo di erosione, e ogni trimestre combatte con “risultanze di cassa” inidonee a far fronte al nuovo “sbarco” di gioco (telematico e terrestre) che si vorrebbe riversare su un territorio che, di contro, ha già innalzato le barricate per respingere anche una sola slot in più di quella che già esiste.

Nelle prossime ore rientrerà da Bruxelles il decreto sulle nuove awp (eventuali proroghe dello stand still sposteranno solo di poco tale evento), e il settore inizia a interrogarsi sulle strategie per “affrontare” questa sfida, che, altrove, non viene più neppure presa in considerazione, ovvero investire in assenza di risorse reperibili, per un prodotto che gode di sempre minore diritto di cittadinanza /installazione.

Il settore è “strano”, sia ben chiaro, quindi, riuscirà persino a trovare “una quadra” a questo dilemma, ma la deroga ai canoni della buona impresa che ciò genererà non aiuterà a bonificare il comparto dalle persistenti sacche di anomalia che ancora lo caratterizzano.

Dai rumors della Commissione Affari Sociali, pare che sia scomparso il “consolidamento” del gettito erariale come clausola sistemica per la guida alle future “riorganizzazioni delle installazioni di slot”, e ciò deve iniziare a far riflettere.

Se la politica inizia a comprendere che “la fonte” dell’attuale sistema, ed in particolare delle sue storture quantitative, è proprio la “voracità erariale”, alla cui insaziabilità si è sacrificata la razionalità e la progressività della distribuzione territoriale del gioco lecito, allora qualcosa di positivo può ancora essere ipotizzato.

Nel frattempo AS.TRO non può astenersi dal rimarcare un dato: una industria sana non può essere chiamata ad investire (e parecchio) ricevendo in cambio la promessa di un peggioramento (sensibile) delle condizioni di resa della propria attività. L’unica industria che può accettare questo singolare scambio è quella che “totalmente sana non è”, ed è bene che si sappia che così saremo valutati nell’imminente futuro, qualora ci si rassegnasse a gestire il tema del cambio macchine, rinunciando a parlare “da industriali”.

Sino a dieci mesi fa si parlava di “cambio macchine affrontabile o non affrontabile, compatibile o non compatibile con le risorse a disposizione”.

Oggi è corretto imbastire il tema con un altro approccio, che rifletta un dato inoppugnabile: anche l’industria del gioco lecito vive “in Italia”, e “di Italia”, e non può essere considerata come mero “collettore” di tributi. O la si accetta come realtà imprenditoriale diffusa, profittevole, meritevole di tutela, oppure si accetti il ritorno all’anarchia del videopoker gestiti da “sconosciuti”.

Con tutto il rispetto per chi si prodiga e si prodigherà per ideare dispositivi di sicurezza che esaltino la funzione istituzionale della slot collegata in rete e certificata nei suoi crismi di legalità, quindi, il mio ruolo mi spinge a invocare il più severo e rigoroso “realismo”.

Oggi al gioco lecito si chiedono passi indietro e gli si chiudono le strade (di mercato e di finanziamento) per fare quegli ulteriori passi in avanti coi quali eventualmente poterci ri-pagare gli investimenti che il cambio macchine sottende.

Il confronto istituzionale deve quindi riprendere ed accettare di acquisire agli atti tutti i dati oggettivi della realtà di settore, rispondendo al quesito di fondo: si vuole ancora l’industria italiana del gioco lecito ?.

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