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Quando è la pubblicità a far quadrare i conti del gioco “pubblico”

12 Ottobre 2016

Ci sono dati e fenomeni che solo un’attenta analisi può svelare.

  1. Nel 2016 l’Erario incasserà dal gioco lecito la cifra “monstre” di 13 miliardi c.a. di euro. Proprio quando il gioco lecito sembrava “soffocato” dalle restrizioni normative e regolamentari adottate da Sindaci e Regioni, la “performance erariale” raggiunge il “picco storico”.

  2. Da un lato, lo Stato non può (certamente) rinunciare a questi introiti erariali, dall’altro lato, invece, “dovrebbe” iniziare a pianificare un percorso di “rinuncia” ad essi, per mantenere fede ad alcuni impegni assunti in tal senso. Uno stallo “logico” che si ripercuote anche sul “c.d. accordo in Conferenza Unifica, laddove i termini della “transazione sul gioco” sono comunque prospettati (al netto dei proclami) “ad invarianza” di gettito.

  3. L’Erario” ha appurato che lo “spauracchio” delle slot funziona benissimo nei confronti dei movimenti no-slot, anti-slot, anti-azzardo, ecc., e che “il sistema” possiede strumenti per mantenere “complessivamente” la sua rilevanza fiscale.

  4. Ipotizzando una contrazione della raccolta lorda dei prodotti “sacrificati” (quindi solo per le AWP a moneta metallica installate in bar e tabacchi), i miliardi “mancanti” ben si compensano con due “contromisure”: (a) un cospicuo incremento della “resa” degli altri prodotti di gioco, (b) l’inasprimento della pressione fiscale sugli apparecchi AWP “superstiti”.

  5. Per conservare la fiscalità delle slot “superstiti” si abbassano i pay out. Per “incrementare” i prodotti diversi dagli apparecchi da gioco serve una “pubblicità cospicua-incessante, ma soprattutto mirata a coltivare e sedurre quel mercato a cui la slot piace poco o nulla, ed in particolare: (a) i “giovani” che sul web vivono oramai la loro dimensione complementare alla reale, (b) gli appassionati sportivi (sempre i giovani come principale bacino), (c) gli appassionati delle “estrazioni”, ai quali la pubblicità serve per ricordare che “quell’evento” che anni fa era settimanale ora ha una cadenza ogni 10 minuti.

  6. Entrambe le contromisure bilanciano “quel sacrificio annunciato” alle slot, la cui risonanza mediatica serve proprio per “far dimenticare” quella che all’inizio della “crociata” anti-gioco era il “cavallo di battaglia”, ovvero il divieto di pubblicità,

  7. La slot non conosce pubblicità, perché non le serve: si propone al pubblico e se non “lavora” si sposta fino a trovare il posto giusto; tutti gli altri prodotti di gioco lecito, invece, vivono grazie alla pubblicità, tramite la quale si eleva a “mantra” il “messaggio” della vincita risolutiva, ma soprattutto si incentiva ad iniziare a “puntare” grazie ai “bonus” di benvenuto.

  8. L’esperienza associativa che AS.TRO sta conducendo nei Territori, incontrando quasi una Amministrazione Comunale al giorno, conferma, poi, come la pubblicità sul gioco sia percepita dalle persone “normali” come un vulnus all’equilibrio e alla accortezza che dovrebbe ispirare la distribuzione del gioco legale, una autentica minaccia per ogni tentativo di politica locale finalizzata alla sensibilizzazione e responsabilizzazione delle cittadinanze.

Come aggregare questi dati, sino ad evincerne una “evidenza”.

Partendo dal presupposto che è l’Erario il principale “portatore di interesse” (incassa infatti una somma “netta” pari a tutti i ricavi lordi di tutte le filiere messe insieme, per poi incamerare anche i singoli gettiti ordinari di impresa), ogni “sforzo” che il Legislatore compie per approcciare il divieto di pubblicità finisce per essere “stoppato” da progetti “mediaticamente assistiti” di riduzione/pseudo azzeramento della AWP nei bar e nei tabacchi.

Con la pubblicità, infatti, “il portafoglio dei giochi pubblici” ha iniziato il suo percorso di “avvicinamento” al mercato del futuro, quei giovani che (oramai è certo dopo le plurime indagini condotte sul punto), annoverano la slot (e per di più quella del bar) come la quattordicesima preferenza di azzardo, e la cui spesa di gioco “sfugge” ad un collegamento psicologico con “lo stipendio” e quindi con la “consapevolezza di valore del denaro”.

Il tema che “alcuni” avevano intuito come “centrale”, è stato quindi sapientemente allontano dai riflettori, sfruttando la modesta conoscenza che per tanti anni si è profusa sul mondo del gioco.

Il compito di una rappresentanza evoluta, i cui iscritti annoverano imprese dedite a tutti i prodotti di gioco del portafoglio pubblico, è quella di “scindere” l’interesse erariale da quello industriale, che presuppone sempre un corretto equilibrio tra successo dell’iniziativa economica e “accettazione sociale” della stessa.

In questo contesto “interrogarsi” sul ruolo della pubblicità diventa essenziale, in quanto “per delle imprese territorialmente radicate”, in discussione non c’è “il valore nummario di un asset” in un trimestre, ma la “dignità aziendale” che il territorio non può concederti se ti approcci (col gioco) con il medesimo “cinismo” del venditore di merendine.

La discussione sui “modelli e sulle strategie pubblicitarie” diventerà pertanto “centrale” per il dibattito associativo, in quanto le nostre imprese rischiano di “scomparire” per una “reazione di rigetto” provocata anche da quelle iniziative promozionali che sfidano la “pubblica percezione” per concentrarsi sui risultati di vendita.

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