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La tutela del gioco lecito dai giocatori problematici

16 Marzo 2011

Nei Paesi in cui una Industria lecita crea posti di lavoro e garantisce grande gettito fiscale, l’impostazione razionale, attraverso la quale gestire l’impatto dell’industria sul territorio, dovrebbe seguire un equilibrato ragionamento di tutela di tutte le posizioni, a partire dalla salute, dall’ambiente, per poi capire come salvare i benefici economici delle imprese (gli antichi avrebbero ermeticamente riassunto il pensiero attraverso l’adagio “non buttare il bambino assieme all’acqua sporca”).

Nella peculiare penisola Italica, invece, non si riesce a concepire l’equilibrio, di tal ché pare normale sostenere l’abolizione del gioco lecito o la sua ghettizzazione in forme di esercizio sempre più discriminate e anti-industriali, come unica soluzione per la salvaguardia delle fasce “c.d. deboli”, ovvero una serie di persone che si ritiene incapaci di controllare la propria decisione di spesa per il gioco (ovvero di gestirla con civico rispetto per il valore del denaro e il buon senso del padre di famiglia) .

In Belgio e nei Paesi anglosassoni, l’ordinamento giuridico consente al Giudice tutelare, di vietare il gioco a chi si sia rivelato un soggetto problematico, ovvero a colui che abbia dimostrato l’incapacità di controllarsi nella spesa al gioco.

La ragione di tali istituti giuridici risiede proprio nella necessità di “buttare via solo l’acqua sporca”, ovvero

  • di salvaguardare l’industria del gioco lecito – controllato – tassato, naturale antagonista delle bische criminali e delle offerte di gioco irregolari che evadono il fisco.

  • di tutelare l’andamento economico e la legalità gestionale delle imprese da potenziali dissipazioni patrimoniali, foriere di bancarotte e di appropriazioni indebite,

  • di responsabilizzare Istituzioni e cittadini sul problema,

L’ulteriore riassunto di tale approccio è quindi quello che evoca la tutela del gioco lecito dai giocatori problematici, e non viceversa, in quanto non è l’industria che segue le regole stabilite a cagionare danni, ma è la irresponsabilità (o il bisogno di cure sanitarie) dei soggetti compulsivi a creare danni a imprese, società, famiglie, istituzioni.

In Italia, esistono solo due espressi istituti assimilabili, ovvero l’interdizione del prodigo e il trattamento sanitario obbligatorio per le persone che si siano rivelate un pericolo per l’incolumità propria o di altre persone.

Al c.d. prodigo, il Giudice Italiano attivabile da parenti, Ufficiali Sanitari, creditori, può affiancare un tutore che prenderà la veste di curatore giudiziale delle sue sostanze, affinché non le depauperi.

Al soggetto necessitante di potenti farmaci psicoattivi, si vieta di guidare, di detenere armi, talvolta di curare la crescita di figli minori, ecc. ecc.

Due dati, poi, si impongono alla riflessione.

Se è vero che ASL e Servizi Sociali hanno un censimento reale delle problematiche soggettive legate a condotte di gioco irresponsabile (benché sia impresa ardua leggere i loro rapporti), e se è vero che la sensibilità verso questi fenomeni è reale e trasversale (ovvero dalle Istituzioni fino ai detrattori, più o meno credibili, del gioco), il principio della “responsabilizzazione” deve suggerire l’introduzione di un istituto che consenta alle strutture sanitarie di adire un Giudice Tutelare, al fine dell’irrogazione di un ordine di inibizione al gioco nei confronti del soggetto “censito” dall’Ufficiale Sanitario come giocatore problematico.

Il principio di responsabilizzazione, poi, va interpretato a 360 gradi, ovvero come sistema di verifica dell’operato di tutti, dalle industrie di gioco alle Istituzioni Territoriali, alla Magistratura.

La ASL che dovesse mettere “le spalle al muro” un Sindaco, dicendogli che la ludopatia ha “infettato” tutta una cittadinanza (caso realmente accaduto), chiedendogli (o finendo per ordinargli) pertanto di spegnere le slot, dovrebbe poter essere giudicata sotto il profilo della correttezza sanitaria del proprio operato. Se vi fosse una Legge che equiparasse la ludopatia (o il gioco problematico) alle altre condotte che “attivano” le facoltà d’imperio di strutture sanitarie e sociali (esempio la denutrizione dei figli, la violenza, la sessualità molestante), gli assistenti sociali e i sanitari delle ASL non sarebbero più legittimati (o tentati) a “trasformarsi” in organismi politici, ma dovrebbero risolvere i casi secondo procedure sanitarie esternamente verificabili.

In breve, non potrebbero più cavarsela con il lapalissiano assunto secondo quale la ludopatia si sconfigge cancellando il gioco dal “creato”, ma dovrebbero spiegare ad un Giudice che “quel soggetto” che si è giocato uno stipendio risulta incapace di comprendere lo sbaglio, rischiando di ripeterlo. Il Giudice, letti gli atti, ordinerebbe il divieto di accesso al gioco al soggetto,la cui violazione farebbe scattare il T.S.O, piuttosto che la nomina di un tutore del patrimonio.

L’assunto secondo il quale la Giustizia non funziona e che arriverebbe tardi e male è fuori luogo, perché basta un minimo di esperienza nel campo della “giustizia tutelare” per sapere con quanta celerità si possano ottenere udienze e provvedimenti in questa materia.

In conclusione: sotto il profilo industriale si sostiene l’assunto che sia meglio vietare il gioco a chi non dimostra di potervi accedere, piuttosto che vietare il gioco lecito e spianare la strada all’industria dell’illegalità; sotto il profilo della tutela alle fasce deboli, è evidente che è impossibile curare una persona senza fargli capire i propri errori (o peggio assumendo che la colpa è dell’invincibilità della forza attrattiva del gioco), le relative conseguenze, in un contesto di controllo pubblico garantito.

La proposta è tanto seria ed efficace che sicuramente non verrà considerata con l’urgenza e il vigore che richiederebbe, in quanto oggigiorno “va di moda” addossare ad altri la colpa dei propri errori, e solo raramente chi ha responsabilità se le assume sino in fondo. Tuttavia è evidente che la descritta riforma normativa (che peraltro richiederebbe una dotazione pubblica di risorse molto circoscritta e ampiamente compensabile dalla rimozione delle attuali limitazioni amministrative al gioco lecito), risolverebbe il problema alla radice.

La sua congruità, poi, rispetto al sistema complessivo, è confermata dalle nuove procedure a cui l’Amministrazione Finanziaria sta per fare ricorso per l’individuazione dell’evasione fiscale: se si pensa di tracciare sempre più il tenore di vita e gli acquisti in contanti, non ci si può certo opporre alla “emersione” delle condotte di dissipazione al gioco: i frequentatori dei Casinò Italiani sono già “fiscalmente schedati”, e nulla osta a che lo siano anche i compulsivi e irresponsabili soggetti che le ASL dovessero diagnosticare (sotto la propria responsabilità) come giocatori in balia della ludopatia.

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