Lavoro nero: sanzione anche per il pagamento fatto in contanti
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con nota prot. n. 9294 del 9 novembre 2018, rispondendo ad un quesito di un Ispettorato territoriale ha chiarito che la sanzione per il mancato utilizzo di strumenti tracciabili per il pagamento delle retribuzioni non è incompatibile con la maxisanzione per il lavoro “nero”: di conseguenza, alla prima tipologia di sanzione, andrà ad aggiungersi la sanzione amministrativa comminata per le irregolarità nella procedura di assunzione del lavoratore (preventiva comunicazione al Centro per l’Impiego).
In dettaglio analizziamo le due tipologie di irregolarità oggetto dell’intervento dell’Ispettorato del lavoro.
Come è noto dal 1° luglio 2018 è entrata in vigore la legge 27 dicembre 2017, n. 205, che dispone che i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato intendendosi per tale ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, (con esclusione dei rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni e per i contratti di lavoro degli addetti a servizi familiari e domestici) indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto.
I datori di lavoro devono corrispondere la retribuzione e gli anticipi sulla stessa tramite banca o ufficio postale, ovvero utilizzando gli strumenti di pagamento tracciabili ai sensi del comma 910 dell’art. 1 della stessa legge.
Per tali inadempimenti gli stessi datori di lavoro rischiano una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro: sanzione, quest’ultima, che non si applica in relazione al numero dei lavoratori interessati dalla violazione, bensì al numero dei pagamenti non tracciabili effettuati nell’arco temporale di riferimento accertato (Inps nota 5828 del 4 luglio 2018).
Inoltre, considerato che in caso di lavoro nero la periodicità della erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, in ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro senza assunzione sono state effettuate.
La cosiddetta maxi-sanzione è la sanzione amministrativa pecuniaria comminata per il rapporto di lavoro instaurato senza la preventiva comunicazione al Centro per l’impiego, di cui all’art.3, comma 3, del D.L. n. 12/2002 come modificato dal D.Lgs. n.151/2015 i cui importi sono:
a) da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di effettivo lavoro;
b) da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di effettivo lavoro;
c) da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di effettivo lavoro.
L’intervento dell’Ispettorato del lavoro in trattazione dispone che i due sistemi sanzionatori possono pacificamente cumularsi: infatti la sanzione per il divieto di retribuzione in contanti, “discende del comportamento antigiuridico adottato ed è posta a tutela di interessi non esattamente coincidenti con quelli presidiati dalla c.d. maxisanzione per lavoro nero”.
Il legislatore, sottolinea l’INL, quando ha voluto escludere l’applicazione di ulteriori sanzioni in caso di contestazione della maxisanzione lo ha fatto espressamente.