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Le linee guida impartite allo staff AS.TRO per redigere il “contratto garantito”

26 Luglio 2010

Partendo dal presupposto che l’operatore di gioco non è un giurista, il Comitato di Presidenza ha impartito allo staff di AS.TRO alcune linee guida “di sostanza” per l’elaborazione delle clausole convenzionali di garanzia, a cui ci si auspica siano improntati i futuri accordi di fornitura di prodotti per il gestore.
Lo spirito che ci ha guidato è semplice e schematico, caratterizzato da un principio che punta (ovviamente) alla responsabilizzazione diretta e completa del produttore e del venditore del singolo prodotto, ma anche alla responsabilizzazione dell’acquirente.
In parole povere, allo staff di AS.TRO è stato chiesto di elaborare uno schema contrattuale in cui il valore della trasparenza e dell’acquisto consapevole consenta di andare al di là delle normative eventualmente esistenti e tutelanti alcuni aspetti dell’acquisto, per evidenziare una specifica esigenza del gestore, quella di non essere più “lui” il tester del prodotto, ma di diventare un normale utilizzatore di prodotti già testati.
L’operatore, infatti, non cerca assolutamente né una legge né una clausola in virtù della quale la gettoniera che “sbaglia un colpo”, o la scheda che paghi lo 0,1% in più del 75% sia cagione di una richiesta (magari strumentale) di danni.
Come già correttamente precisato dall’amico Lorenzo Verona, il noleggiatore non è così ingenuo dal ritenere che valga la pena di combattere per farsi dare garanzie che dovessero rivelarsi al “lato pratico” fuori mercato, fuori logica, oggettivamente al di fuori dall’ambito di padronanza tecnica di aziende (magari anche commercialmente, oggi) affermate, ma poco patrimonializzate per sostenere una eventuale chiamata di responsabilità.

Il gestore AS.TRO vuole semplicemente tornare ad essere un operatore che sceglie il prodotto in virtù di caratteristiche tecniche ben descritte e idonee a generare la consapevolezza dell’acquisto in ragione dei margini dichiarati di errore.

Non voglio entrare nel circuito delle polemiche e quindi concordo con l’amico Gioacchini quando afferma:
che il gestore deve considerare innanzitutto un proprio problema aziendale interno (e non dell’Associazione) quelle migliaia di euro già perse per l’erosione del margine di utile di filiera da parte di software tanti legali quanto inidonei all’uso professionale e commerciale degli stessi,
che nel lamentarsi per tali perdite occorre valutare l’incidenza della consapevolezza nel tempo maturata sulle caratteristiche specifiche dei prodotti, in molti casi non generante (inspiegabilmente) un cambio di rotta nelle scelte di acquisto;
che le eventuali azioni di rivalsa per questi danni da vizi del prodotto sono quindi una scelta che il gestore ha affrontato e probabilmente affronterà sempre nell’ambito delle “peculiarità” dei rapporti che intercorrono nel nostro settore.

Detto questo, e sperando così di aver chiarito che nessun astio e nessun particolarismo ispira la battaglia di AS.TRO, si sottolinea un dato che difficilmente può essere contestato.

Quando un prodotto serve per far soldi e “solo per far soldi”, il suo margine di errore deve essere attestato e su tale attestazione si deve creare tanto il consenso all’acquisto, quanto la ponderazione commerciale alla sua scelta. Ciò che va “punito” pertanto, non è il “baco” in sé, o la inefficienza in sé di una periferica, ma la “bugia” sottostante ad una non veritiera attestazione sul margine di errore del prodotto. Questa è la “svolta” : si dica al gestore (prima che compri) che quella AWP paga il 75% in simulazione di gioco normale, ma che, sottoponendo a stress indotto il software di gioco, le erogazioni di vincite sono fuori controllo. Se poi la compra lo stesso
.E’ chiaro anche a un non – giurista come il sottoscritto, che tale visione delle cose è in prima battuta a vantaggio del produttore (almeno di quello che trova il modo di documentare certi test), perché circoscrive la sua responsabilità a ciò che attesta, invitando l’acquirente a preferirlo commercialmente sulla base della sua professionalità specifica, in virtù della quale rappresenta al cliente il lavoro sottostante alla progettazione e alla costruzione del prodotto.

Solo così termina lo scarica – barile tra chi produce un “pezzo” e chi produce “quel altro”, e la “macchina” torna ad essere l’oggetto del contendere.

L’amico Masini si batte da oltre un anno per reperire una soluzione che consenta di “scaricare” fiscalmente le c.d. perdite strutturali del congegno, ma tutte le Agenzie delle Entrate hanno sempre eccepito che questi eventi di perdita possono solo essere attestati dal produttore attraverso una procedura legalmente riconosciuta. Ciò impedisce (ad esempio) ai gestori di distributori automatici di bevande calde di detrarre lo zucchero eventualmente erogato in eccesso nei caffé, ma nelle AWP omologate tramite una procedura “legalmente riconosciuta”, tale inconveniente può essere superato, se il produttore del singolo componente (unitamente all’eventuale assemblatore degli stessi) attesta analiticamente quali sono i test eseguiti per rodare il prodotto e quali sono gli esiti di tali test.
Sarà il gestore poi, a verificare se il test ha previsto (ad esempio) una simulazione di gioco a perdere o di stress indotto esternamente sul gioco, piuttosto che sulla sua alimentazione elettrica, e se tali attestazioni si riferiscono esattamente alla macchina che “acquista nello specifico”, o solo al prototipo di essa.
Sarà il gestore, poi, a discernere la macchina che è garantita effettivamente dalla gettoniera all’hopper, dalla scheda ai cablaggi, e quella che “ospita” semplicemente un bel gioco; sarà il gestore a scegliere se utilizzare un prodotto piuttosto che un altro, e non mi si venga a dire che così facendo si “tira la volata” a stellari prezzi delle slot, in quanto il mercato deve prima creare il prodotto e poi, sulla base del suo costo, allestire una soluzione che ne consenta la distribuzione, eventualmente più “articolata e moderna” del mero acquisto con pagamento a vista.
E’ chiaro che, ad esempio, la mia azienda non può acquistare 1.000 nuove awp solo per fregiarsi di un “titolo” sul suo bene strumentale; del resto non ne sento la necessità perché l’80% dei prodotti che utilizzo (tra slot e cambiamonete) non mi ha mai dato problemi tecnici e presumo che non me li darà in futuro, ma gli inconvenienti generati da “quel 20%” mi bastano e mi avanzano.
Il modo di ragionare è pertanto semplice: per il futuro vorrei affidarmi a qualcosa in più della “fortuna” e sono io il primo a sperare che la maggior parte dei miei fornitori attuali possano continuare a servirmi anche in futuro. A loro non chiedo certo di impegnare la casa per garantirmi, ma di elevarsi industrialmente e di distinguersi dagli altri attraverso un modo di lavorare che attesti cosa loro fanno per rendere un prodotto valido, senza invocare codici vigenti o vantare auto-certificazioni di qualità.
La qualità è un risultato complessivo empiricamente sottoposto a verifica e non è un assioma: a capire il gioco “che piace” e che “lavora” il settore ci è già arrivato. Ora si tratta si “incorporarlo” in un prodotto che premi chi sa confezionarlo meglio, e magari distribuirlo compartecipando al rischio di business del gestore.

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