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L’industria chiede strumenti di verifica sull’efficacia delle limitazioni al gioco lecito

13 Marzo 2017

(a cura dell’avv. Isabella Rusciano)
Modena è solo l’ultima delle Città che introduce il “distanziometro orario” per gli apparecchi da gioco lecito, ovvero una misura che, “sull’onda dell’adesione ad Avviso Pubblico”, condensa su di se la reputazione di “soluzione” (comunale) ai problemi socio-sanitari collegati al gioco.

Il distanziometro metrico ha oramai esaurito la sua “spinta propulsiva”, avendo generato, nei suoi 5 anni di storia, aumenti epidemiologici del G.A.P. ed incrementi della presenza della illegalità, in tutti i territori in cui è stato applicato.

Il distanziometro “orario”, adesso, va “di moda”, in quanto tra “i complessi sanitari” circolano studi che dimostrerebbero che “al calare” della possibilità di accesso al gioco, calerebbe la domanda di gioco da parte dell’utenza, ovvero diminuirebbe la “mole” di gioco praticato.

Questi “studi” possono essere più o meno seri, più o meno accreditati, ma sicuramente non hanno la loro base empirica di osservazione localizzata in Italia, e questo deve molto far riflettere, visto che “l’allarme ludopatia” è censito dal 2010, e al cospetto di “una piaga” ci si potrebbe anche attendere qualche indagine autoctona accreditata dal Ministero della Salute.

Cosa cambia dagli studi “virtuali” alla realtà ?

Semplice.

In Italia non si introducono limitazioni di vendita (o di consumo) al gioco nel suo complesso (tutti i prodotti leciti), unitamente a compagne di aggressione al gioco non autorizzato, ma solo spegnimenti programmati ai soli apparecchi autorizzati.

In buona sostanza, si pensa di intervenire “miratamente” sul prodotto che si ritiene più “impoverente” o “critico”, risolvendo i problemi, ma in realtà si avvia un duplice processo:

  • da un lato si inizia a “spostare” il consumo di gioco dal prodotto “spento” a quelli che restano attivi, financo al gioco illegale;

  • dall’altro lato si “esasperano” le dinamiche di gioco, in primis degli utenti già problematici, per i quali lo stress dell’ora di spegnimento si trasforma in una corsa a giocarsi tutto in fretta, mentre quello dell’attesa dell’accensione provoca l’approccio ad altre scommesse di sorte.

L’handicap di questi studi – che influenzano gli Amministratori e i Giudici chiamati a giudicare i loro provvedimenti, in assenza di atti ufficiali del Ministero della Salute – è pertanto la rispettiva base di partenza: in Italia non esiste un distanziometro metrico-orario per tutto il gioco, ma solo una politica di restrizioni per le sole apparecchiature autorizzate.

L’effetto “positivo” che detti studi prospettano, pertanto, NON potrà mai essere raggiunto, in quanto difetta di un contesto in cui si possa “vietare” il consumo di gioco (tutto quanto, illegale compreso) in certe fasce orarie.

Del resto, i dati epidemiologici (ma anche sociali) parlano chiaro, e lo fanno sia nei Comuni dove è stata introdotta la restrizione oraria, sia nelle Regioni in cui si è introdotto il distanziometro metrico:

il G.A.P. aumenta (sia come malati in cura al Serd, sia come percezione delle dimensioni di criticità non ancora intercettata dai servizi sanitari), aumentano “gli alert” di gioco problematico (richieste di supporto al reddito ai servizi comunali, non abbinate al classico disagio “di classe” ), aumentano i giovani che giocano on line.

Se nessuna Regione ha mai dichiarato che dalle misure legislative no-slot sia derivato un “arretramento delle criticità socio-sanitarie pregresse”, se nessun Comune ha mai potuto dichiarare che dallo spegnimento programmato dei soli apparecchi da gioco lecito sia derivato un miglioramento delle evidenze critiche da cui sono scaturite le ordinanze orarie, cosa potranno mai attendersi gli Enti Locali che si avviano adesso ad introdurre siffatte misure ? Ovviamente nulla.

L’industria seria, pertanto, non invoca “il giudice di Berlino” o “il Legislatore autoritario” che zittisca il disagio degli Enti Locali ed imponga a tutti il “proprio” gioco (per di più pubblicizzato oltre ogni ragionevole logica).

L’industria seria chiede che sia sancito a cosa – DOPO ANNI DI APPLICAZIONE – sono servite le restrizioni metriche e orarie SINO AD ORA ADOTTATE, ma non dal punto di vista della visibilità mediatica-politica dei promotori, bensì dal punto di vista “pratico” del benessere socio-sanitario della collettività, e dei giocatori in particolare.

Quando gli approcci ai problemi si focalizzano su un “oggetto”, e non sul contesto complessivo in cui detto oggetto opera, si fa la fine dei rivoluzionari di 2 secoli fa, che se la prendevano con le catene di montaggio per difendere il posto di lavoro dell’operaio.

Solo per informazione, l’automazione è proseguita, si è affermata, e non è mai stata la causa della disoccupazione.

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