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Lombardia: come cambia il G.A.P. in presenza di distanziometri e ordinanze orarie restrittive

27 Luglio 2017

Lombardia: 2.734 malati di G.A.P. censiti nel 2016 dai Centri Sanitari, a fronte di 2.177 del 2015 e di 1564 del 2013 (la legge Regionale sul “distanziometro metrico” è dell’ottobre del 2013, ma la relativa delibera attuativa è del gennaio 2014, mentre le ordinanze orarie sono state emanate in tutti i capoluogo dal settembre 2014).

Migliaia di awp sono state “espulse” dal Territorio Lombardo, centinaia di bar hanno cessato di ospitarle, e diverse decine di sale dedicate hanno cessato completamente l’attività.

La spesa di gioco in Lombardia è tuttavia sempre cresciuta, ed il numero dei malati di G.A.P. aumenta “ad un ritmo incalzante”.

La base di partenza dell’analisi resta il dato di 1.564 unità, ovvero la fotografia del “gap” in un territorio ancora privo di restrizioni al gioco lecito.

Nei primi due anni di “restrizioni”, i malati aumentano di 613 unità (+39,2%), mentre il terzo anno (nel 2016), ovvero quello in cui si abbinano alle restrizioni le espulsioni di oltre 6500 apparecchi, l’aumento di malati – su base annuale –sfiora le 600 unità, toccando quota 2734 (+557).

In pratica nell’anno in cui si realizza il maggior numero di “calo” di apparecchi leciti di gioco, l’aumento di malati di G.A.P. – su base annua – raddoppia (dal trend di +613 in 2 anni, si arriva a + 557 in soli 12 mesi).

Tutto è sostenibile da parte dei Legislatori Regionali della Lombardia, ma l’unico effetto che gli stessi non possono vantare come “derivato” dalle normative (introdotte dal 2013 in poi) è la tutela socio-sanitaria della popolazione.

Una Legge che riesce a “performare” l’aumento della spesa locale di gioco, il raddoppio dei malati di G.A.P. (in ogni singola provincia), nonostante l’abbassamento del numero di apparecchi e di punti commerciali ospitanti apparecchi da gioco, va cambiata.

Se neppure la diminuzione dell’offerta riesce nell’intento di limitare il consumo, significa che è giunto il momento di cambiare approccio.

Se “veramente” si perseguono fini socio-sanitari occorre prendere atto che gli strumenti messi in campo sono controproducenti e quindi vanno “sostituiti” con altri, che non siano “restrittivi” (l’abolizionismo parziale o totale realizzerà sempre i disastri totali o parziali che hanno sempre generato in ogni altro campo), bensì “impositivi”.

Gli strumenti impositivi sono quelli che introducono regole “responsabilizzanti” a chi vende il prodotto sensibile, e impongono investimenti per ottemperare ai nuovi doveri.

Come si chiude (o meglio di dovrebbe chiudere) il bar che fa ubriacare i clienti, così si deve poter chiudere quel locale che non ha “tempo e competenza” per controllare la propria utenza, non rispetta quelle procedure “standard che istituzionalmente andrebbero allestite” per allertare i servizi preposti per intervenire sugli utenti a rischio.

Prevenire e curare il G.A.P. si può, ma costa ! E chi col gioco guadagna (dallo Stato agli operatori) deve fare la sua parte.

Nel momento in cui “il G.A.P.” diventa costo improduttivo per le aziende, e onere aggiunto significativo per lo Stato, ogni “accorgimento” per evitarlo e contenerlo vedrà immediatamente la luce.

In assenza di “obiettivi pratici” e “strumenti concreti” per verificare l’efficacia di una piattaforma di intervento congiunto (imprese – istituzioni locali) “la colpa” di qualcosa sarà sempre di nessuno, e quindi di tutti, con buona pace della tutela per le fasce deboli della cittadinanza.

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