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Napoli e Firenze: due realtà che hanno abolito il gioco legale

17 Ottobre 2016

La differenza tra “regolamentare/disciplinare” ed abolire (espressamente o implicitamente) non è solo “formale” ma “sostanziale”: un fenomeno come il gioco legale (si badi legale-autorizzato-controllato-tassato- nonché “fondamentale” per la quadratura del bilancio statale) può essere regolamentato sia “centralmente” che attraverso la concorrente partecipazione dello Stato e degli Enti Locali.

Le realtà di Napoli e Firenze, tuttavia, non esprimono una “funzione” di concorrenza disciplinare, bensì l’introduzione “strisciante” di una forma di abolizionismo, che va sotto il nome di “soffocamento”. Non potendo abolire ciò che lo Stato ha introdotto e disciplinato, la “contrazione territoriale dell’accesso al gioco legale” che i predetti Enti Locali hanno realizzato (con ordinanza o con regolamento comunale) non esprime la funzione di “adeguamento” dell’impatto industriale dell’attività rispetto alle esigenze dei Territori (Napoli e Firenze hanno ben altri problemi e priorità ben più consolidate nella esperienza delle città), bensì un processo di soffocamento.

Non potendo “fregiarsi” di aver abolito quel gioco che (mediaticamente) costituisce la piaga italiana del secolo (n.d.a. che fortunati che siamo, la nostra piaga non è più il “podio” al campionato del mondo della corruzione nella gestione pubblica che le agenzie internazionali ci assegnano annualmente), si mettono in campo “limitazioni orarie e operative” che rendono “anti-economiche” le prosecuzione delle attività insediate.

Quattro ore a Firenze, qualche scampolo in più a Napoli, al cospetto di un “tempo di lavoro” che il giorno prima di questi “interventi autoritativi” erano di 12-18 ore, sicuramente eccessivi, ma proprio per questo “modulabili” attraverso un ampio ventaglio di soluzioni “mirate” ed equilibrate.

La mancata “proporzionalità/corrispondenza” tra finalità “istituzionale” e “provvedimento” si rileva proprio da una carente ricerca di un “punto di equilibrio”: se si vuole “regolamentare” ci si deve anche preoccupare di “tenere in vita” ciò che si vuole mantenere sotto controllo, altrimenti è ovvio che ci si espone al fenomeno involutivo del “sommerso”.

La differenza tra “legale e illegale” è tutta qua: mentre non esistono “limiti” al contrasto dell’illegalità, le azioni di contenimento delle attività legali per “salvaguardare” specificità territoriali devono avere un limite ben preciso ed invalicabile, ovvero quello di non espellere dal circuito del lecito ciò che la Legge ha voluto fosse insediato nell’economia alla luce del sole, soffocandone la redditività.

A Firenze e Napoli ci sono aziende che mantengono il rispettivo “disappunto” per i provvedimenti restrittivi nell’alveo della dignità e del rispetto istituzionale, ma i conti non quadrano più, e tra breve occorrerà – in primo luogo – sfoltire quei 2/3 di addetti che non hanno più “copertura” di lavoro, e – a seguire – decidere se cessare l’attività o cederla a chi “il gioco” potrà continuarlo a proporre h. 24 (senza costi, senza tasse, senza “licenze” – “autorizzazioni” – “codici di iscrizione” – “procedure selettive sui requisiti morali”, senza prodotti “omologati”).

AS.TRO non difende “il gioco lecito” h. 24, e non pretende di far subire ai territori tutta la “non-curanza” sino ad ora riservata dalla Legislazione Statale alle procedure di salvaguardia socio-sanitaria che dovrebbero accompagnare la distribuzione del gioco lecito.

Tuttavia, si prendono le distanze (e di conseguenza si denuncia) un certo orientamento della politica volto a “non curarsi” dell’impatto del gioco illegale, e a considerare irrilevante il fatto che espellendo il gioco autorizzato, si spiana la strada alla criminalità.

Questo atteggiamento “comprova” come “non sia” il cittadino (giocatore e non) ad essere al centro dell’azione amministrativa, e come lo sia, invece, il confronto-scontro con il bilancio dello Stato (padrone del gioco legale), e il conseguente astio nei confronti dei “servi” dell’Erario che raccolgono il gettito da gioco lecito. Ecco allora come si iniziano a comprendere “le ritorsioni” che si mettono in campo per rendere difficile la vita dal gioco legale, misure dalle quali “tutti” ben sanno che non sortirà neppure “un malato di G.A.P. in meno” (semmai l’aumento come le statiche affermano), neppure un “metro quadrato” di area urbana riqualificata, neppure un “euro” sottratto alla spesa di gioco.

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