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Processo Black slot: dalla requisitoria del P.M. un inaspettato colpo di scena

4 Luglio 2012

(a cura di Avv. Michele Franzoso, Centro Studi AS.TRO)

Esaminiamo nel dettaglio i contorni giuridici delle richieste di condanna e di assoluzione pronunciate dal P.M., nella sua requisitoria del 3 luglio, e riscontriamo, nostro malgrado, il raggiungimento di un “culmine” di confusione di cui si poteva fare tranquillamente a meno.

  1. Inesistenza del reato di associazione a delinquere.

Da questa emergenza processuale, il p.m. evince la richiesta di assoluzione per tutti gli imputati dal grave capo di accusa, tanto rilevante sotto il profilo della contestazione, quanto mai (e si ribadisce mai) descritto in termini di contorni fattuali negli atti processuali, ma sempre (e si ribadisce sempre) invocato come mero criterio di mantenimento della competenza territoriale del Tribunale Lagunare. Come commentare questa “sortita” dopo quasi otto anni in cui nulla si è fatto e detto per sostenere un siffatto reato, se non ricordare che il “progetto” di software nasceva in azienda di Chioggia su incarico della società proprietaria del prodotto “black slot” ? Rinviamo alla sentenza autunnale la definitiva riflessione, ma sin da ora ricordiamo le decine di note divulgate per gli associati AS.TRO, in cui si illustrava la non sostenibilità di una accusa “in bianco” , da molti invocata per scroccare risarcimenti o alimentare erronee aspettative di indennizzo, unitamente alla sua pericolosità per il calcolo effettivo della prescrizione, e quindi sulla possibilità di capire chi determinò il sequestro di 108.000 awp.

  1. Inesistenza del reato di falso per i responsabili dell’azienda produttrice delle schede, ma richiesta di condanna per l’Ente verificatore (ovvero per i rispettivi addetti), e per il progettista del software (rappresentante di azienda diversa rispetto a quella che portava in omologa i prodotti e poi li commercializzava).

Qui già si inizia a mettere a dura prova la logica: L’Ente di verifica avrebbe mentito ad AAMS sulle caratteristiche del programma di gioco e il “progettista” avrebbe concorso nella mendace rappresentazione compiuta dal preposto di AAMS.
Non perseguibile l’azienda produttrice delle schede, ritenuta al di fuori del disegno criminoso di inquinamento cognitivo dell’Amministrazione.

Cosa c’è di strano ? Apparentemente nulla, tanto è vero che la linea difensiva prospettata ai patrocinati da AS.TRO è sempre stata quella di coinvolgere il solo Ente omologatore nella richiesta risarcitoria, in quanto unica Entità in grado di “commettere” un falso di induzione nei confronti dell’Amministrazione per la quale operava.

Tuttavia, nella fase delle Indagini Preliminari il “movente” del falso contestato era proprio l’associazione a delinquere, ovvero la “stretta e capillare” sinergia intercorrente tra gli imputati, ridimensionata nel capo di accusa definitivo e poi, oggi, del tutto abiurata.

L’Ente omologatore, pertanto, avrebbe mentito ma non si sa perché, e la sua determinazione sarebbe stata agevolata non già da chi entrava in contatto commerciale con esso (remunerando le verifiche), bensì dalla “progettazione” deterministica del software. Il falso ideologico che ha tratto in inganno AAMS, pertanto, sarebbe la conseguenza di una generica volontà di menzogna rispetto alla verità tecnica fatta propria dal p.m.; questa, poi, non trae più neanche origine dal consulente della Procura (di fatto scaricato come supporto probatorio), bensì dall’elaborato di GLI, l’ente concorrente che, all’epoca delle indagini preliminari (in cui era anche esso indagato), si era prodigato a sostenere l’illegalità dell’operato del Collega per rivendicare la bontà del proprio.

  1. L’unico reato esistente sarebbe quello di cui all’articolo 718 c.p., ovvero il gioco d’azzardo, ma non quello contestato nel capo di imputazione (aver messo sul territorio apparecchi illegali), bensì quello commesso da esercenti e gestori che tali congegni avevano installato: quando il P.M. sostiene, infatti, che il giorno della prescrizione per tale reato si calcola dall’ultimo sequestro eseguito, di fatto applica agli imputati l’ipotesi di concorso nell’azzardo che avremmo commesso “noi parti offese” che tali congegni utilizzavano.

L’epilogo logico che meno ci si aspettava, quindi, è che alla fine la “colpa” cadesse sulla filiera del gioco, rea di aver sfruttato un congegno solo erroneamente autorizzato dall’Amministrazione, a causa delle contestate falsità addotte dall’Ente omologatore per “scientifico antagonismo” (pare di capire, stante l’inesistenza di altri moventi).

Lo sconforto delle parti civili è quindi evidente, ma non per la frustrazione in sé della pretesa risarcitoria, comunque pregiudicata da altri fattori, bensì per l’indebolimento che tutto ciò ha arrecato all’attività di ricerca della verità, ovvero la comprensione del motivo del sequestro di 108.000 new slot collegate alla rete del sistema gioco lecito.

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