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Punti vendita: come coinvolgere l’anello fondamentale della filiera in una logica “di sistema”

23 Ottobre 2012

Tutti sanno che il gioco terrestre, benché sottoposto alla concorrenza del gioco on line, costituisce, e costituirà ancora per molto tempo, il mercato di riferimento dell’industria nazionale. Il punto vendita, quindi, a prescindere dalla sua fattezza e dalla sua giuridica qualificazione, è il perno del sistema. Con esso, tuttavia, non si rapporta in modo ottimale.

Il gioco responsabile, il gioco equilibrato, il gioco che non provoca “reazioni” delle Amministrazioni Territoriali, il gioco veramente legale, ma anche la stessa ottimizzazione gestionale dei processi di conduzione di una slot, passano attraverso il punto vendita, al quale il settore guarda – spesso – con logiche “datate”.

Sino a qualche anno fa il punto era solo un numero rappresentativo della estensione operativa dell’azienda; la perversa logica che si è affermata in passato arrivava a concepire il “punto” come cliente, in luogo di assegnare tale qualifica all’utente – giocatore, che aziona il circuito di resa dell’azienda con la propria scelta di spesa.

Oggi ci si lamenta che il punto è “disallineato” rispetto al sistema, e ci si pone il problema di assimilarlo ad esso, di fargli effettivamente fare “parte” della filiera, ovvero coinvolgerlo in ciò che l’operatore di gioco quotidianamente mette in pratica per difendere il suo lavoro.

In fondo è lo stesso Decreto Balduzzi, attualmente al vaglio delle Camere, a dettare tale principio, a cui il settore è meglio che si adegui prima possibile: dal primo gennaio 2013, infatti, il punto vendita (anche non dedicato, e, per ciò che interessa la presente nota, “soprattutto il punto non dedicato”), dovrà adempiere a precisi obblighi di informazione all’utenza, e totale dedizione alla sorveglianza per impedire il gioco ai minori.

Lungi dal costituire un mero “incombente formale”, tali adempimenti costituiscono un banco di prova per l’efficienza del sistema, ovvero un vero e proprio “esame” il cui esito dovrà essere la scomparsa del fenomeno dell’accesso dei minori al gioco, e l’insorgenza di una effettiva consapevolezza dell’utenza sui rischi collegati alla dipendenza, unitamente ad una riscontrata “responsabilizzazione” delle modalità di accesso al gioco.

Non ci sarà un “secondo decreto Balduzzi” se il primo fallirà gli obiettivi, e in tale ipotesi provvedimenti molto più invasivi saranno adottati per allineare il gioco a standard di impatto socio-sanitario accettabili.

E’ verosimile attuare questi percorsi senza la collaborazione del “punto” ? E’ verosimile che sia solo l’operatore di gioco a “farsi carico” di allestire cartelli e cartelloni nei punti, e che gli esercenti continuino a “non sapere” nulla sui rischi che il gioco terrestre corre se il tutto si riduce a scritte sui muri ?

Tradurre tali considerazioni in pratiche linee guida non è certo semplice, in quanto non è banale pensare di sovvertire in pochi mesi (e per di più in tempo di crisi), una logica di mercato risalente alla notte dei tempi. Alcuni gestori iniziano già a pensare di collegare i consueti percorsi di fidelizzazione a questi obiettivi, consapevoli del fatto che un “punto” virtuoso finirà per non perdere – su base annua – il suo volume di raccolta, e inoltre genererà una immagine aziendale molto più qualificante.

Come al solito il nemico del gestore finirà per essere …… il gestore stesso, ovvero colui che rifiuterà la modernità per arroccarsi nella sua logica di conta-monete. Per disincentivare l’emulazione a tale “figura”, il settore dovrà “investire”, elevando a preciso obiettivo industriale la selezione qualitativa delle location.

Anche le “Istituzioni” dovranno farsi carico di un piccolo “investimento”, censendo e documentando dove si è refrattari a tali innovazioni, e riformando le normative locali in ottica di “prescrizioni” connesse al gioco, in luogo dei divieti.

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