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Quando è la legge a creare scandalo, l’illegalità si rafforza

6 Giugno 2012

Dopo la replica AS.TRO al Il fatto quotidiano, si sono censite svariate prese di posizione di esponenti politici “scandalizzati” dalla vigente Legge sui giochi, ovvero dai provvedimenti che richiedono tributi e aggi in anticipo, in corso di anno, per poi essere conguagliati l’anno successivo.
Si assiste ad un coro unanime di richieste di “blocco” dei rimborsi tributari e degli depositi cauzionali, di proposte di innalzamento del PREU a impronunciabili percentuali praticamente pari al netwin, solo cautamente affrontate da un esponente Governativo che ha recentemente rilevato la “complessità” dei dispositivi di aumento delle imposte nel settore giochi per “delicatezza” di equilibri (pericolo di deriva verso l’illegalità all’aumentare eccessivo della pressione fiscale).
Il settore rifiuta di essere considerato una consorteria di operatori a virtuosità oscillante (finché guadagno resto nella legalità, altrimenti delinquo); già esistono due categorie di aziende (quelle che le regole le rispettano e quelle che guadagnano sull’illegalità), l’opzione della legalità è ampiamente scollegata dal criterio della rimuneratività effettiva, costituendo scelta di vita di imprenditori che hanno deciso di costruire aziende con presentabilità industriale.
Ciò che invece è evidente, ma che ci si ostina a non voler capire è che l’eccessiva penalizzazione delle aziende del gioco lecito favorisce le consorterie illegali, alle quali lo Stato rischia di consegnare il mercato, se non si pongono le condizioni per consentire a chi le regole le rispetta di operare in regime di rimuneratività.
Fare “gioco lecito” non è come produrre privatamente “scarpe”, attività per la quale è doveroso confrontarsi sul mercato con competitor globali. In Italia, il gioco lecito ha margini ristretti di guadagno sicuramente non elevabili, ma doverosamente da tutelare per mantenere sul territorio l’offerta del prodotto pubblico in termini di competitiva ed antagonistica presenza di contrasto nei confronti dell’illegalità.
La presenza di un Governo apparentemente tecnico e vincolato solo a una mission di risultati “macro-economici”, ha generato una caccia alla visibilità personale dei politici con ambizione di ricandidatura, ma ha anche “attorcigliato” la stessa dinamica dell’Esecutivo, attualmente in preda allo stallo inevitabile a cui prima o poi si sarebbe arrivati, ovvero l’empasse che si presenta a chi ritiene di poter Governare senza “far politica”.
L’agenda “macro-economica”, già annovera quasi 4 miliardi di euro in meno di entrate tributarie e disoccupazione in sensibile aumento costante, e perseverando nella “disaffezione” per problematiche di “secondo livello”, come quella del gioco pubblico, dovrà presto contabilizzare altri miliardi mancanti e altri addetti espulsi.
Un argomento delicato come quello del gioco “di Stato” necessita di basi politiche chiare e di indirizzi analitici che liberino il gioco da dinamiche di cassa paragonabili a quelle delle accise, consegnando alla cittadinanza e all’industria “un modello” di liceità (contro il quale nessuno dovrebbe poi potersi schierare, indipendentemente dalla sua “grandezza”), e un obiettivo di contrasto istituzionale efficace contro ogni forma di concorrenza a tale modello.
Il Governo tecnico si propone di “semplificare” le dinamiche del Paese ?. Semplifichi pure, ma non si dimentichi che le trimestrali di cassa non potranno beneficiare in eterno dell’apporto del gioco lecito se Enti Locali, stampa ideologizzata, e lobby della ludopatia saranno lasciate libere di sovvertire i diritti di impresa di quelle aziende dal cui impegno e sacrificio dipende la raccolta di gioco legale, regolare, controllato, e già predisposto per l’adeguamento tecnologico in funzione della tutela del consumatore.

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