Regione Veneto: l’Avv. Piozzi (Centro Studi AS.TRO) completa l’analisi della nuova legge sul gioco
Avevamo in precedenza pubblicato la sintesi esplicativa, corredata da alcune nostre osservazioni, del progetto di legge approvato nella V Commissione Consiliare del Veneto, in materia di contrasto al gioco d’azzardo patologico.
Ora che la legge è stata definitivamente approvata dal Consiglio Regionale nella seduta del 3 settembre u.s., occorre completare l’analisi alla luce delle modifiche introdotte in sede di approvazione.
All’art. 6 (competenze dei Comuni), è stata aggiunta la lettera c), nella quale si prevede che i Comuni “impostano specifiche restrizioni alla navigazione internet (c.d. content filtering) attraverso la propria rete wireless per impedire l’accesso a siti web nei quali è possibile giocare d’azzardo on line)”.
All’art. 7, comma 2 (norme sulla collocazione degli apparecchi), è stata fissata un’unica distanza minima di 400m (anziché, com’era inizialmente previsto, di 300m per i comuni con meno di 5mila abitanti e di 500m per i comuni con più di 5mila abitanti) ed è stato precisato che la misurazione avviene sulla base del percorso pedonale più breve.
L’integrazione che ha però suscitato maggiori polemiche è stata quella relativa alla modifica del comma 6 dell’art. 7 il quale, nella versione originale, stabiliva che le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 (relative alle limitazioni imposte dai Comuni nell’ambito degli strumenti di pianificazione territoriale) non si applicavano alle sale da gioco esistenti alla data di entrata in vigore della legge.
Da qui qualcuno aveva ritenuto che le disposizioni che stabilivano le distanze minime dai luoghi sensibili (comma 2 dello stesso articolo), per le quali era invece assente qualsiasi riferimento alla loro efficacia temporale, dovessero ritenersi applicabili in via retroattiva.
Nella versione definitiva approvata in Consiglio Regionale, è stato quindi specificato che la salvaguardia delle attività preesistenti riguarda anche l’applicazione delle distanze minime dai luoghi sensibili. Ed è proprio questa integrazione ad aver scatenato una buona dose di polemiche.
Premesso che l’inserimento di tale precisazione è da accogliere con estremo favore, in quanto va a scongiurare l’insorgenza di contrasti interpretativi in sede applicativa, è opportuno precisare che già il testo partorito dalla V Commissione non poteva essere considerato retroattivo con riguardo all’applicazione del “distanziometro”.
Era infatti privo di una disposizione transitoria che disciplinasse i tempi di applicazione dei divieti in esso stabiliti o, comunque, di un riferimento testuale inequivocabile che potesse indurre a ritenere l’applicazione retroattiva di tali divieti.
Per tale ragione, nel primo commento al progetto di legge, ci eravamo già espressi nel non ritenere retroattive le norme sul “distanziometro”.
La retroattività rappresenta infatti una deroga al principio generale dell’ordinamento secondo cui la legge dispone solo per l’avvenire (art. 11 preleggi) e, come tale, dovrebbe essere prevista espressamente dal legislatore o comunque emergere da elementi univoci tali da giustificare una simile interpretazione: in mancanza, qualora l’individuazione dell’efficacia temporale di una norma risultasse incerta, si dovrebbe necessariamente propendere per l’esclusione della sua efficacia retroattiva.
Il fatto che per alcune disposizioni si fosse deciso di specificare la loro irretroattività (come appunto è accaduto per le limitazioni derivanti dalle pianificazioni urbanistiche dei Comuni- commi 4 e 5 dell’art. 7) non sarebbe bastato per poter affermare, argomentando a contrario, la retroattività implicita delle altre disposizioni, non accompagnate da tale espressa precisazione ma caratterizzate dalla medesima ratio legis.
Un’altra integrazione introdotta nel comma 6 dell’art. 7 è quella con cui si precisa che l’irretroattività riguarda, non solo le sale da gioco, ma anche l’esercizio degli apparecchi collocati in altri esercizi (ad es., bar e tabaccherie) già esistenti al momento dell’entrata in vigore della legge.
Per quanto riguarda le limitazioni orarie (art. 8), la versione iniziale affidava interamente ai Comuni la fissazione delle fasce quotidiane di interruzione del gioco, nel limite massimo delle sei ore giornaliere (secondo quanto previsto nell’Intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata Stato – Regioni – Enti Locali).
Nella nuova versione è invece previsto che sia la Giunta Regionale ad adottare il provvedimento per rendere omogenee sul territorio regionale le fasce orarie di interruzione quotidiana del gioco, sempre nei limiti stabiliti nell’Intesa Stato-Regioni- Enti Locali).
Nelle more della definizione del suddetto provvedimento, i titolari delle sale da gioco e degli esercizi in cui sono collocati apparecchi sono tenuti a comunicare ai Comuni le fasce orarie di interruzione quotidiana del gioco, secondo quanto previsto nella menzionata Intesa.
E’ sicuramente apprezzabile l’idea di omogeneizzare a livello regionale i limiti all’esercizio dell’attività di gioco. Ciò consente infatti di scongiurare una regolamentazione a macchia di leopardo che può solo favorire fenomeni di migrazione dei giocatori senza apportare benefici alla lotta al GAP.
Infine, va segnalato che il nuovo art. 13 contiene una disposizione che era invece assente nella prima versione ossia il divieto di installazione nei punti gioco di terminali multifunzione che consentano l’accesso al gioco mediante il prelievo di contante o il pagamento per l’utilizzo del gioco stesso.
Pertanto, i titolari delle sale da gioco e dei punti gioco ove siano installati detti terminali, dovranno disattivarli entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
In conclusione, volendo tracciare un giudizio complessivo su questo testo normativo, al netto della forte contrarietà riguardante lo strumento del c.d. “distanziometro” (la cui inutilità è peraltro ormai acclarata sia sul piano dell’esperienza concreta che su quello degli studi scientifici), bisogna riconoscere che il legislatore veneto, a differenza di quanto fatto dagli organi legislativi di altre regioni (mossi da mero furore ideologico), ha dimostrato una seppur minima attenzione all’esigenza di bilanciare l’interesse alla tutela della salute pubblica con quello della salvaguardia delle attività economiche che operano nella legalità.