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Scommesse al di fuori dell’autorizzazione statale e presunte ambiguita’ della giustizia amministrativa

28 Luglio 2010

Le scommesse costituiscono un elemento centrale del sistema gioco lecito italiano e pare corretto pronunciarsi sulle recenti ambiguità che alcune interpretazioni di pronunciamenti amministrativi stanno instillando nel sistema pubblico di gestione del gambling.

Leggendo i titoli di alcuni recenti redazionali parrebbe che i Giudici amministrativi del TAR stiano imponendo alle Questure il rilascio dell’articolo 88 TULPS anche a operatori di scommesse con sede all’Estero e non forniti di concessione Italiana. Così non è, e benché la cavillosità della materia stia traguardando livelli di odiosità intellettuale insostenibile, è bene chiarire che, allo stato attuale, nessun Questore è stato ingiunto di rilasciare la licenza di raccoglitore autorizzato di scommesse a chi autorizzato (dall’AAMS) non è.

Questo intervento non è un saggio giuridico, e pertanto non si pretende di affermare chi (in diritto) ha ragione e chi ha torto; l’unica finalità che ci si propone, è quella della comunicazione istituzionale di tipo associativo, alla luce della rilevanza della materia anche per i gestori di apparecchi da intrattenimento, che nelle sale scommesse autorizzate possono installare awp, mentre in quelle prive di tale titolo no (a torto o a ragione che sia).

Alla luce degli attuali orientamenti dei TAR, infatti, pare che il rifiuto del rilascio dell’articolo 88 non possa più dipendere solo dall’assenza di concessione italiana, in quanto la giurisprudenza comunitaria avrebbe decretato una sorta di diritto del bookmaker autorizzato oltre frontiera (ma nell’UE) a operare anche in Italia (benché, presumibilmente, nel rispetto delle leggi nazionali, o almeno di quelle pacificamente applicabili a prescindere dai dettati comunitari). Se così è, ce lo dirà la Cassazione a sezioni Unite dopo che il Consiglio di Stato avrà esaurito la fase di revisione dei pronunciamenti di prime cure.

Ciò che gli operatori devono “appuntarsi” è però un altro concetto che si schematizza in questi 3 punti:

  1. a tutt’oggi, fermo restando la “battaglia giudiziaria in essere”, gli unici punti di accettazione e raccolta di scommesse (nonché dei relativi “dati”) riconosciuti come legali sono quelli che l’articolo 88 lo hanno ricevuto dal Questore competente per territorio;

  2. nessun Tribunale Amministrativo ha mai ordinato ad un Questore di rilasciare la licenza di cui all’articolo 88 TULPS ad un operatore straniero senza concessione dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato;

  3. I recenti “casi” giudiziari divulgati, lungi dallo scalfire l’operatività concreta del sistema concessorio italiano, hanno in realtà instillato alcune “cavillosità” all’interno della battaglia giuridica intrapresa dagli operatori esteri sopra descritti; vediamole:

    1. Il Questore non può rifiutarsi di concedere l’articolo 88 tulps solo perché l’operatore accreditato nell’UE non è riuscito a comprarsi una concessione italiana;

    2. Il Questore può solo rifiutarsi di rilasciare l’88 se la propria istruttoria rivela la inesistenza dei requisiti morali che sono il presupposto del rilascio del titolo;

    3. TUTTAVIA (aggiungiamo noi)

    4. se l’accertamento dei requisiti morali non può prescindere dalla verifica circa il possesso di tutte le condizioni che rendano la raccolta di scommesse compatibile con l’Ordine Pubblico,

    5. e se la compatibilità di ordine pubblico non può che dipendere anche dal fisiologico contingentamento (quantitativo, qualitativo, soggettivo e territoriale) della offerta di gioco e scommesse affidato all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato,

    6. e se l’articolo 88 tulps (nuova versione), altro non è se non un titolo di polizia volto a verificare chi “in concreto” può esercitare sul campo una concessione dell’AAMS,

    7. ALLORA, pensiamo noi,

    8. il T.A.R. si “lava le mani” delle dotte disquisizioni sul diritto comunitario, affermando semplicemente che il Questore non deve motivare il rifiuto di rilascio dell’88 per carenza di concessione italiana, ma deve “furbescamente” motivare tale diniego sulla base di un negativo esito di compatibilità all’Ordine pubblico della istanza.

La Cassazione metterà ordine su forma e sostanza, ma il dato di fatto è sempre quello: la raccolta di scommesse senza autorizzazione è illegale, e se le leggi che sanzionano tale illegalità sono di difficile applicazione (incentivando così certi percorsi alternativi al sistema), ciò non toglie che i proventi della raccolta e quelli della riscossione di vincite non possono beneficiare del regime fiscale che caratterizza il sistema legale di gioco; chi raccoglie scommesse in regime di clandestinità amministrativa deve pagare le tasse per redditi da impresa illecita (I.V.A. compresa), idem per chi riscuote una scommesse vincente allibrata da chi non è autorizzato da AAMS.

Una “buona politica” di accertamenti fiscali sul punto potrebbe far scemare la convenienza di certe battaglie giuridiche (da un lato), e di certe scelte di acquisto dei consumatori (dall’altro lato).

Il sistema gioco pubblico è incardinato nell’Amministrazione Finanziaria e pare doveroso pretendere che “il sistema” adotti ogni e più utile iniziativa per tutelarsi, in quanto dalla sua efficienza dipende la sorte degli operatori che hanno investito nelle concessioni.

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