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Sistema italiano del gioco lecito e tentativi comunitari di liberalizzazione del mercato: le ragioni di uno steccato che non sarà mai abbattuto

27 Gennaio 2010

L’informazione di settore risalta spesso le “prese di posizione” degli organismi comunitari sul tema del gioco e delle scommesse, esaltando una sorta di contraddizione tra la filosofia del diritto europeo, volto alla libera circolazione dei servizi (tra i quali le scommesse e il gioco), e la normativa Italiana incentrata sul concetto giuridico di monopolio statale sul gioco e le scommesse.

Il fatto stesso che nei dibattiti e nell’informazione si tenda ad assimilare semplicisticamente gioco e scommessa, unitamente al fatto che nessun risalto viene concesso al processo di europeizzazione che sta caratterizzando lo scenario dei concessionari operativi sul Territorio nazionale, rivela il “tifo” avverso al Monopolio Italiano. La ragione è evidente: in tutto il mondo chi fa gambling professionalmente (e ad alto livello scommesse) è operatore caratterizzato da grandi ricchezze che necessitano una allocazione in chiave di espansione territoriale del target; a ciò si aggiunge che in nessun altro Paese del mondo la tassazione su tali attività arriva complessivamente a generare un volume di gettito erariale da podio assoluto tra i collettori di tributo.

Sino a qualche anno fa si poteva anche sostenere che l’Italia non fosse in linea con i principi comunitari perché la propria normativa sembrava caratterizzata dall’intento di ostacolare l’ingresso dei competitors stranieri, adottando privilegi a favore dei soli concessionari italiani, dipinti come figure dotate di una benedizione troppo particolare e discriminatoria, viste le difficoltà che altre imprese incontravano per assumere quella qualifica.

Oggi l’arcano è oramai scoperto, e i paladini dei punto.com e degli allibratori non autorizzati si trovano di fronte ad uno steccato giuridico abilmente costruito che non pare destinato a essere facilmente superato.

Oggi non esiste più la questione del riconoscimento in Italia della concessione straniera per il gambling, ovvero la problematica dell’accesso dell’operatore straniero alle procedure di gara indette dallo Stato Italiano. Le questioni sono altre.

L’Italia si è dotata di tre principi giuridici fondamentali e non scalfibili dal diritto comunitario.

Il primo: gioco e scommesse sono attività sottoposte al controllo diretto dello Stato che richiama a sé la prerogativa gestionale (ulteriormente delegabile attraverso un sistema concessionario) per evitare l’infiltrazione di capitali di origine sospetta in tali ambiti economici.

Il secondo: non tutti i giochi e tutte le scommesse sono ammissibili in Italia; il controllo pubblico, infatti, nasce non per escludere Tizio o Caio, ma per disciplinare il mercato decidendo prima quali prodotti di gioco e scommessa si decide di offrire al pubblico, e quali no.

Il terzo: Una volta deciso il portafoglio di prodotti, si fa una gara per individuare i Concessionari a cui affidarli, e le procedure di individuazione degli operatori sono oggi perfettamente collimanti con i principi comunitari.

In buona sostanza l’Italia si è dotato di un corpus normativo e di un sistema organico di disciplina che sicuramente non è appetibile per gli operatori abituati a vestire fiscalmente i propri cespiti come ricavi tassabili solo in Paesi off shore, ma che non può essere accusato di essere uno steccato discriminante l’operatore comunitario al mero fine di preservare una prerogativa di incasso erariale soddisfabile solo su aziende residenti in Italia.

Lo stupore e l’alea di incomprensibilità con cui si descrive la situazione italiana in consessi e conferenze internazionali, sono pertanto motivati dallo scoramento al cospetto di uno schermo protettivo rivelatosi impenetrabile, che non consentirà mai di poter legalmente proporre al cittadino Italiano qualcosa di diverso dal “censito” prodotto di gioco, dove per censito si intende forma di raccolta di gioco o scommessa disciplinata da una normativa che parte dal chiarire cos’è quel prodotto, come si utilizza, come si propone, come funziona, e, infine quali requisiti possedere per diventarne distributore per conto del detentore del copyright (l’Amministrazione Finanziaria).

Potrà sembrare una sorta di “foglia di fico” ma effettuare una scommessa sulla partita Milan – Inter in Italia non è e non sarà mai la stessa cosa dell’Inghilterra. Oltre Manica la scommessa è scommessa, e chi ha la patente di allibratore può creare gli eventi sui quali deciderà di raccogliere le scommesse alla quota che riterrà opportuna, ivi compreso il sesso del prossimo nascituro della Real Casa.

In Italia non esiste il servizio “scommessa” esteso a tutto tondo. Esistono eventi predefiniti offerti al pubblico secondo una preventiva disciplina normativa che si occupa di selezionarli, confezionarli, proporli, bancarli, ecc. ecc.

Nessuna norma dell’Unione, pertanto, potrà mai imporre all’Italia di assimilare prodotti che la legge interna distingue per ragioni attinenti la salvaguardia dell’ordine pubblico, la prevenzione del riciclaggio, la tutela del consumatore, il mantenimento di una prerogativa ispettiva sulle procedure di posizionamento dell’offerta di gioco al pubblico.

Tutti coloro che pensano di avere strumenti giuridici da spendere per raccogliere lecitamente in Italia gioco o scommesse da un server posizionato in Paesi a fiscalità meno aggressiva di quella Italiana, ovvero in assenza di una valida concessione, dovranno confrontarsi con una realtà molto più complessa rispetto a quella sommariamente evincibile da alcune sentenze della Commissione Europea o da alcuni pareri del relativo Avvocato Generale.

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